Imparare a comunicare
una giraffa per amica

di Raffaella Lusvardi

giraffe

La giraffa è l’animale scelto come simbolo della “Comunicazione non violenta”. Stare in alto per vedere lontano. Un cuore grosso per una forza di vita. Mangiare anche le spine senza ferirsi. La giraffa è il più grande ruminante e il più alto mammifero vivente, i maschi possono raggiungere i 6 metri di altezza. Riesce a vedere molto, molto lontano, all’orizzonte della savana, sopra i cespugli e gli alberi. Il peso del suo cuore si aggira tra gli 11 e i 12 kg, ed è un “capolavoro di ingegneria” per come riesce a gestire la pressione della circolazione sanguigna. Il suo collo arriva ai due metri di lunghezza. La giraffa è un animale forte, ma allo stesso tempo vulnerabile e a rischio di estinzione. È piaciuta all’ideatore della Comunicazione non-violenta, Marshall B. Rosenberg (psicologo statunitense, 1934-2015), che per le sue caratteristiche l’ha scelta come simbolo del linguaggio empatico, che mette il focus sulla capacità di mantenersi umani anche nelle condizioni più difficili. Che cosa dà gioia all’essere umano? Marshall risponde: “Il donare dal cuore”; è il rimanere connessi gli uni agli altri, allo scopo di non perdere la possibilità di essere in armonia. Portare pace, ovvero Parlare Pace (titolo di un libro di Rosenberg), cominciando dalle parole che si pronunciano ogni giorno. Ecco che il cuore grande della giraffa ben rappresenta questo obiettivo. Così come il collo lungo, che, se lo adottiamo, ci consente di guardare la realtà da punti di vista diversi, elevandoci e cambiando le prospettive. Inoltre, la giraffa ha il calcio potente, capace di uccidere un leone, ma usa la sua forza al servizio della vita, per arricchire le relazioni. La giraffa poi si nutre della pianta d’acacia, carica di spine, ma non si ferisce. Possiamo anche noi imparare a vincere il male delle parole che portano dolore a noi stessi e agli altri. Quando si dice “linguaggio giraffa” ci si riferisce dunque a un linguaggio che porta benessere e pace, in ogni situazione. A questo proposito, Rosenberg è convinto che quando noi parliamo nel quotidiano, anche se non crediamo di essere violenti, in realtà veicoliamo messaggi violenti, attraverso parole e modi di porci talmente radicati ed automatici che nemmeno ne abbiamo la consapevolezza. Solitamente, il linguaggio in cui siamo immersi, per educazione e mentalità, è fondato sul dare giudizi (Il mio collega è un irresponsabile! Come uomo non valgo niente! Tu lavori troppo!), o su accuse reciproche (Sei tu che non capisci! No, sei tu che non sei disposto a cambiare!), oppure sul senso di colpa (È per colpa tua se il nostro matrimonio è finito! Mi merito quello che mi sta accadendo), o su dei paragoni (Tua sorella ci dà tante soddisfazioni, non come te che sei uno sfaticato), o su dati assoluti (Devi fare così, che ti piaccia o no!), o sui pensieri di dovere (Devo mettermi a dieta; devo smettere di fumare). Un linguaggio statico, che non ottiene risultati e aumenta il dolore. Viene chiamato “linguaggio sciacallo”, perché non riconosce la libertà, il rispetto dei sentimenti e dei bisogni propri e degli altri, la vicinanza o la condivisione. Linguaggio giraffa e linguaggio sciacallo sono due modi diversi di usare le parole. Possiamo chiederci se il nostro modo di comunicare corrisponda alla nostra identità come persone, e se sia efficace per farci ottenere ciò che desideriamo. Mi lascio trasportare dall’ira e arrivo a dire ciò che non penso? Mi giustifico dicendo: “sono fatto così, non ci posso fare niente”, pensando che siano gli altri, chissà poi perché, a “doverci sopportare”? Alzo la voce appena rientro a casa, mi dà fastidio tutto, e non mi rendo nemmeno conto di quanto questo faccia male a chi ho intorno? Ripeto sempre le stesse cose, con gentilezza, ma vedo che con alcune persone non riesco a farmi capire, e penso “non cambieranno mai”? È il momento di cambiare, di aprire il cuore alla gioia di imparare un modo nuovo di relazionarci, di essere convinti con Rosenberg che “quello che dici può cambiare il mondo”, che va di pari passo con il credere in un cambiamento positivo, a cominciare da se stessi, che troviamo riassunto nella famosa frase di Gandhi: “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

La Comunicazione non violenta parte dalla priorità di mantenere la connessione em-patica per prevenire più possibile il conflitto, ma anche per gestirlo senza arrivare alla violenza, evitando di cadere nella depressione di relazioni che paiono irrecuperabili, ma che invece richiedono solo un cambio di passo sulle modalità di comunicazione.